Recensioni  
   
Le recensioni su Ballu furiosu

Francesco Pintore
L'unione Sarda - luglio 2005

Echi di ska, canto a tenore rielaborato, omaggi ai cantadores, danze sarde accompagnate da rabbiosi assoli di basso e tantissima energia. Basta il ditolo del CD, Ballu furiosu, per intuire che l'ultima fatica discografica dei Tancaruja è votata al ritmo. Dall'ascolto, poi, arrivano soltanto conferme.

Ancora una volta la band guidata da Pino Martini ha saputo rielaborare i suoni dell'isola in modo originale. E pensare che l'album non è altro che una compilation. Niente minestra riscaldata, però. Le vecchie canzoni sono state vestite a nuovo grazie anche alla dimensione live. Ballu furiosu è stato infatti registrato durante un concerto dal vivo tenuto dalla band nel teatro Garau di Oristano. A tre anni dalla pubblicazione di Isettande il gruppo si riaffaccia sul mercato con un omaggio al ballo sardo. La produzione è curata da Salvatore Corona dell'agenzia Applausi di Oristano.

L'organizzatore del festival Dromos non è nuovo a questo genere di operazioni. Già in passato ha contribuito alla realizzazione di alcuni dischi di musica etnica. Questa volta ha prodotto un live di grande impatto con dodici tracce che riassumono il percorso artistico dei Tancaruja.

Il CD si apre con il brano che dà il titolo all'album. Una canzone inedita che, è proprio il caso di dirlo, apre le danze. Ballu furiosu sprigiona molta energia. I suoni sardi strizzano l'occhio alla ska ed al rock and roll senza mai scadere in spettacolarizzazioni fine a se stesse. Non c'è alcuna manipolazione elettronica. Così come in Cuccu meu, una rielaborazione della danza di Desulo che punta su efficaci impasti vocali e su cambi di ritmo. Con Ballu e cantu l'atmosfera diventa un po' più rilassante, come pure in Mutos de Tanca. Ma non ci sono cali di tensione perchè il suono dei Tancaruja riesplode con tutto il suo vigore in Peppinu meu e Eni ca. Il ballo rirprende con Dinghiri Doi e Ite li conto. Insomma, un ballo furioso continuo fino alla dolce Abba muda, canzone scritta da Michele Pio Ledda, che chiude l'album. Rispetto ad Isettande, l'ultimo album in studio, c'è (e si sente) una presenza più marcata della band. Forse la dimensione live esalta le potenzialità dei fratelli Martini (Cristiano alla batteria, Valeria alla voce e Gabriele al basso) che dividono la loro attività artistica tra i Tancaruja e il rock raffinato degli Elora. Il disco segna il distacco (momentaneo?) della band dalla Compagnia Nuove Indie, un'etichetta indipendente che nel suo catalogo vanta titoli di Almanegreta, MoriKante, Enzo Avitabile, gli algheresi Calic e l'ogliastrino Marcello Murru.

La distribuzione è curata da Frorias e il CD si trova negli scaffali dei negosi di dischi di tutta l'Europa. In autunno i Tancaruja, dopo il tour estivo, si metteranno al lavoro per il prossimo album in studio.

Dario Levanti
Folk Bulletin - febbraio 2005

Per quanto "di transizione", come lo stesso gruppo definisce questo disco dal vivo, e realizzato piuttosto estemporaneamente registrando in una sola sessione al Teatro Garau di Oristano il 24 gennaio dello scorso anno, Ballu furiosu" è un CD da mnon perdere per i non pochi estimatori della formazione guidata da Pino Martini Obinu, già bassista degli "storici" Stormy Six. Interamente dedicato al repertorio da ballo e contenente alcuni inediti, il disco core via veloce a ritmo ternario riproponendo anche i più trascinanti cavalli di battaglia del gruppo.

Titolari della ricetta giusta per la rpeparazione del cocktail ballutundurock e altre saporite bevante, i "Tanca" mescolano l'irruenza giovanile con l'esperienza, l'energia immediata della coscienza del fare, creando un equilibrio soddisfacente anche per le orecchie più esigenti. Fra tutti, però, anche se in questo disco mancano ovviamente arie più lente e riflessive in cui meglio mettere a frutto le proprie doti, corre l'obbligo di spendere una parola per la voce di Valeria Martini, frontwoman di pochi anni e tante qualità.

Walter Marocchi
Jam gennaio 2005

Finalmente la band capitanata da Pino Martini si presenta nella sua dimensione più congeniale e coinvolgente, quella live: infatti i tre anni trascorsi dall'ultimo lavoro in studio i Tancaruja li hanno spesi suonando incessantemente tra la Sardegna e il continente, con prestigiose puntate europee come il Folkfestival di Kellerbuhne, in Germania, sviluppando oltre che un interessantissimo impasto sonoro, una grande capacità di comunicazione e interazione con un pubblico non esclusivamente sardo.

Registrato al teatro Garau di Oristano nel gennaio del 2004, il disco offre quattro inediti, tra cui il brano che da il titolo all'album; il resto del materiale spazia tra i due lavori in studio, il primo dei quali, In terra e in chelu, è stato in grande parte riarrangiato negli ultimi anni in seguito al cambio di line-up. Si passa da scatenate patchanke made in Sardinia, come Cuccu meu, ad invitanti mescolanze fra folclore sardo e aperture mediterranee, come in Ballu e cantu e Peppinu meu; ma l'ago della bussola punta anche verso un pop intelligente, come testimoniano Cantatore canta e le intense atmosfere di Abbamuda.

L'incrocio elettroacustico è uno dei punti di forza del sound dei Tancaruja, e nell'uso, accanto a chitarre e basso, di bouzouki, trunfe, fisarmonica, bandurria (oltre che alla costante attenzione alle armonizzazioni vocali), la band sembra intraprendere un vero e proprio viaggio nella world music.
Peccato che siano rimasti esclusi dalla scaletta, probabilmente per motivi di spazio, alcuni brani che avrebbero contribuito ad arricchire ancora di più il paesaggio come Chizzi chizzi im miniera e Terra de isparu e de fogu.

In attesa di un quarto CD in studio e soprattutto di una loro maggiore presenza dal vivo (è lì che si esprimono sempre al meglio) sul continente, lanciamoci anche noi mani e piedi in questo divertente e spensierato "Ballu furiosu".

Le recensioni su Isettande

Francesco Pintore
L’Unione Sarda, Martedi 3 luglio 2001

Sulle corde dei Tancaruja. Nessuna concessione all’elettronica ed ai campionamenti: solo suoni acustici per rileggere la tradizione sarda con bouzouki, chitarre, bandurria e tamburi

Tante corde, tamburi e voci. Niente suoni campionati, né manipolazioni elettroniche. per la seconda fatica discografica i Tancaruja hanno puntato sui suoni acustici con un grande schiedamento di liuti, chitarre, bouzouli, bandurria. Tanti tamburi e percussioni, ma spazio anche al basso elettrico di Pino Martini, deus ex machina della band che ha pubblicato Isettande, cd prodotto e distribuito dall Compagnia Nuove Indye, la stessa casa discografica di Agricantus, Enzo Avitabile, Mor Kante e dei primi Almanegretta.

Per i Tancaruja si tratta di svolta annunciata. Già lo scorso anno in occasione del festival Ichnos di Sedilo il gruppo si presentò al pubblico con un nuovo abito sonoro. Addio all’etno-rock elettrico di “In terra e in chelu”, addio alla voce di Beppe Dettori e spazio ad un suono più semplice senza impasti elettronici. Come dire: Pino Martini, da sempre a suo agio nella sperimentazione e della commistione tra suoni di diversa matrice, per l’ennesima volta ha deciso di giocare una nuova scommessa. Ha “chiesto aiuto” ai nipoti Cristiano, Gabriele e Valeria Martini, ovvero la “struttura” degli Elora e con l’arrivo di Claudio Corona, Elena Nulchis, Sandro De Bellis e Antonio Neglia la formazione ha trovato una sua fisionomia.

Dopo un anno di prove e concerti è nato Isettande: undici tracce su un percorso sonoro fatto di tradizione e ricerca. I Tancaruja riscoprono le ballate, forme di canzone semplici che spesso nascondono molte insidie. Il test è stato però superato a pieni voti. E non solo per l’incisività di alcuni testi scritti da Michele Pio Ledda (probabilmente il miglior autore di canzoni sardo-moderne) ma anche e soprattutto per la bravura e le capacità interpretative di Valeria Martini che in alcuni brani usa la voce come solo le grandi folk singer sanno fare. Un esempio? Terra de isparu e de fogu. Il pezzo scritto da Tonietto Salis nei primi anni settanta, nella versione dei Tancaruja, vale da solo l’acquisto del disco. Valeria Martini, almeno nell’interpretazione di questo brano, conbatte ad armi pari con altre voci del folk italiano come Lucilla Galeazzi, Elena Ledda o Caterina Bueno, giusto per fare qualche nome altisonante. Ascoltare per credere. In ogni caso nel disco ci sono anche tante altre canzoni di grande impatto. Dinghiri doi è una di queste. Un ballo sardo carico di ritmo impreziosito da una trunfa indiavolata. E tanti tamburi, naturalmente. Cosa che accade anche in Peppinu meu, un dillu dedicato a Peppino Mereu, il poeta tonarese morto un secolo fa.
Chizzi chizzi in miniera è invece un brano “impegnato”: si parla di lavoro, ingiustizia, sofferenza e morte. Non mancano i riferimenti all’amore. In Feminas ci sono i sentimenti visti dalla parte delle donne. Frore e Eni ca ti canto sono canzoni che facevano parte del primo disco. Sono state “riviste e corrette”: nella nuova versione risultano sicuramente più funzionali all’attuale suono dei Tancaruja.

Cose da sentire
Giordano Casiraghi


La ricerca del folklore popolare stavolta fa tappa in Sardegna con musica etnica tassativamente acustica. Al secondo cd la formazione sarda affina lo stile sottraendo la strumentazione elettronica in favore di quella acustica. Chitarre in prima linea, la bandurria spagnola e il bouzouki greco corteggiano le fisarmoniche e il pianoforte. Voce femminile in lingua sarda spesso supportata da coralità di rinforzo. Pino Martini, ex Stormy Six, guida una nutrita formazione spesso presente nei vari Festival dedicati alla musica etnica.


Francesco Pintore

L’Unione Sarda, luglio 2001

Tante corde, tamburi e voci. Niente suoni campionati né manipolazioni elettroniche. per la seconda fatica discografica i Tancaruja hanno puntato sui suoni acustici con un grande schieramento di liuti, chitarre, bouzouki, bandurria. tanti tamburi e percussioni, ma spazio anche al basso elettrico di Pino Martini, deus ex machina della band.......

Lucio Mazzi
ROXYNEWS

Stanno arrivando dalla Sardegna cose di altissima qualità. Sull'isola si muovono decine di gruppi estremamente interessanti, innamorati e orgogliosi della loro terra e delle loro tradizioni, ma certo non fermi alla semplice riproposizione di un folklore da cartolina fine a sè stesso. Alcuni di questi gruppi riescono anche a mettere il naso fuori, altri li aspettiamo con ansia, come le straordinarie Balentes (v. archivio), gli Andira, gli Elora. Tra quelli che si stanno facendo notare al di qua del Tirreno (e grazie all'acume e alla solerzia di etichette come la CNI) ci sono i Tancaruja, autori di un ottimo lavoro un anno fa e oggi di nuovo sul mercato con una formazione totalmente rinnovata a fianco del deus ex machina del progetto, Pino Martini. Completamente acustico, questo disco si muove con grande leggerezza e sapienza in territori sonori che sfiorano paesi, stili e atmosfere di tutto il Mediterraneo, spingendosi fino al Portogallo e al Senegal. Su tutto si muovono le splendide voci femminili (Valeria Martini degli Elora ed Elena Nulchis delle Balentes) in un continuo ricamo polifonico. Bisognerà lavorare parecchio di comunicazione perchè questa venga cosiderata “musica” e non riduttivamente “musica sarda”, ma quando succederà, grandi gruppi come i Tancaruja godranno della popolarità che meritano ampiamente.

FolkRoots
Smith

Per il loro secondo album, i TancaRuja mettono fermamente i piedi nel campo acustico e ne risulta così un album di eccezionale esecuzione di bellissime melodie. Ecco una band con l‘orecchio teso alla melodia. La loro cantante Valeria Martini è una degna erede della ricca tradizione sarda. Spicca in mezzo ad un gruppo di talento, eppure dimostra di sapere essere più una band singer che una solista con musicisti d’accompagnamento, come invece farebbe Elena Ledda se cantasse materiale simile. I raffinati arrangiamenti d’accompagnamento sono dominati da strumenti a corde pizzicate, bouzouki, mandolino e bandurria, così come dalle chitarre, ma piano e fisarmonica fanno la loro parte, così come le arrembanti percussioni di Sandro De Bellis, specialmente in “Feminas”, tinta di ritmiche in stile tribale.

Marco Ranaldi
www.lisola che non c’era.it

Non c’è momento migliore per riscoprire le contaminazioni fatte sulla musica popolare, sul recupero delle radici nei giorni attuali. E’ un bene che quest’interesse verso il ritorno al momentaneo lontano, possa essere
stimolo per lavori di tanta musicalità e competenza. Custodi e musicisti di talento e fantasia sono i Tancaruja, appartenenti a quella terra dalle mille sfaccettature del suono che è la Sardegna. Il gruppo, che ha già all’attivo un album intitolato “In terra e in chelu”, presenta ora dieci composizioni nel cd ”Isettande” che è un percorso di
scuola di tradizione affidato alle penne di Pino Martini e Antonio Salis.
La dinamica del lavoro è straordinaria, unica nel porre in essere quella memoria dai tanti sapori piacevoli insieme alla cultura del novecento andato; nell’intelligenza comune dei Tancaruja c’è l’uso di soli strumenti
acustici (fondamentale per capire l’indirizzo della formazione) e della lingua sarda come espressore vocale.
Al recupero dei ritmi si contrappone la delicatezza sonora delle note rare e dei suoni delicati, espressi sin dall’iniziale brano che dà il titolo al disco “Isettande” e ripreso diverse volte come in “Poesia traittora”.
Ben fatti gli arrangiamenti, soprattutto quelli vocali che sanno richiamare il suono antico e recuperato dei tenores. Un timbro che rimane nella memoria è quello della voce di Valeria Martini, autentica cantatrice dei passi lasciati e riscoperti col candore e l’onestà di chi vive le origini e le rigenera.

Ringo
www.artesetsonos.it

L'ultimo disco dei Tancaruja è sicuramente una grossa sorpresa. Non solo per la formazione, completamente rinnovata, ad esclusione dell'inossidabile Pino Martini (Ideatore del progetto e leader del gruppo), ma anche per la nuova impostazione musicale. L'impresa è stata molto coraggiosa e non facile, ma il risultato finale gli da ragione, visti i pareri della critica, il consenso del pubblico ai loro concerti e il successo che sta avendo l'album.

Fin dalle prime note di Isettande, che apre e da il nome al disco, si percepisce una ventata di freschezza e si capisce subito che in questo disco sono presenti sonorità che esulano dai tipici suoni sardi che siamo abituati a sentire. Il risultato è una miscela di suoni mediterranei che, costruiti su un'ossatura di stampo etnico sardo, spaziano e si evolvono creando un sound che riesce a trasportare e a carpire l'attenzione di chi ascolta, facendogli rivivere antiche atmosfere, luoghi e profumi della Sardegna, ma non solo.

La totale assenza di suoni elettronici e l'uso di strumenti acustici della tradizione sarda, ma anche mandola, bandurria ecc. conferiscono al lavoro dignità, fierezza e una fluidità che lo rendono molto fruibile, facendo si che trasmetta vibrazioni e sensazioni piacevolissime, senza le quali la musica perderebbe il suo lato migliore. I testi, scritti per la quasi totalità da Pino Martini, giocano un ruolo fondamentale. A metà tra pura poesia e tradizione, toccano argomenti e situazioni di vita che ci riguardano molto da vicino: Chizzi chizzi in miniera è l'esempio emblematico. Di buon gusto e molto incisivo il brano dedicato a Peppino Mereu: Peppinu meu.

La splendida e limpida voce di Valeria Martini, che s'intreccia con i giochi vocali di Elena Nulchis (Proveniente dalle Balentes) valorizzano i testi e completano la parte strumentale in modo eccellente. Una piacevole sorpresa è l'inserimento nel disco di un bellissimo brano di Tonietto Salis, Terra de isparu e de fogu, magistralmente interpretato dalle bravissime (E belle!) Valeria ed Elena. Decisa e convincente anche l'interpretazione vocale di Pino Martini. Vigorosa ma allo stesso tempo raffinata la parte ritmica affidata a Cristiano Martini (Batteria) e Gabriele Martini (Basso). Nota di merito particolare per le esecuzioni chitarristiche e degli altri strumenti a corde (Molto ricercate). Eccellente anche l'apporto delle tastiere.

Sono convinto che il gruppo, con l'instancabile Pino Martini, abbiano imboccato la strada giusta e non tarderanno a sfornare altre cose molto interessanti.

Le recensioni su In terra e in chelu

Tiziano Toniutti
La Repubblica, Inserto Musica 1 luglio 1999

La Sardegna dei Tancaruja è una Sardegna tutta particolare. La parte rock dell'isola è governata da altri gruppi, ma anche la tradizione è altrove (anche se i Tancaruja cantano in sardo). Il gruppo riesce a ottenere una sintesi asciutta di suoni acustici e lievi ombreggiature elettroniche che porta lontano dai manuali di musica etnica.
Ne esce un disco di canzoni lievi, di pop viscerale ma delicato (bellissima Poesia traittora) che risplende di echi e colori naturali e di sentimenti mai costretti ad uscire con la forza. Un disco istintivo e intenso.

Felice Liperi
La Repubblica, Inserto MUSICA, 18 marzo 1999

Dopo una lunghissima attività in avventure prestigiose fra cui spiccano quelle con Stormy Six e Salis'n Salis, il pluristrumentista Pino Martini torna alle sue radici sarde con questo “In terra e in chelu”, realizzato con il progetto Tancaruja. Un lavoro che arriva come risultato di due anni di ricerche negli archivi etnomusicali e un'attenta osservazione della tradizione letterale sarda. Così riesce a far convivere muttos (Ballu e cantu) con pulsioni elettriche, tablas (Sona Sonette) e cori a tenores, ninnananne (Goi e gai) e veementi ritmi africani (Eni ca...). In Terra e in chelu non è solo l'approdo ad una modernizzazione "controllata" della musica folk, ma è anche il segno che da tempo stiamo assistendo ad una vera e propria rinascita della musica sarda.

Walter Porcedda
La Nuova Sardegna, 10 luglio 1998
...
Oltre mille copie vendute nel giro di pochi giorni. Quasi un dato record per il mercato discografico isolano. Un successo che si spiega, naturalmente, sia con la bontà del prodotto che per la bravura degli artisti. Successo quasi annunciato quindi, all'uscita, qualche settimana fa, di "in Terra e chelu", album d'esordio della nuova formazione Tancaruja. Una sigla dietro la quale si nascondono nomi blasonati d'artisti di origine sarda, ma da tempo residenti fuori dall'isola, che anzi, proprio fuori dall'isola hanno raccolto riconoscimenti e successo.......

Cristiano Sanna
Unione Sarda, 19 giugno 1998

..."Dammi la mano, piseddu caro, che ti porto a cavallo di una nuvola misteriosa fatta di argento e oro, così e cosà riposa leggero nel tuo ninnare" recita il testo di Goi e gai. E la poesia della tenerezza fra padre e figlio si culla di chitarre a bordone e arpeggi mediterranei, percussioni gioiose e una voce che osa metter insieme, senza forzature, la lezione senza tempo di Leonardo Cabizza e i fraseggi di Stevie Wonder. In apertura Sona sonette ed Eni Ca fondono danze senegalesi e crescendo rock, attenti a non soffocare l'organetto che regge la delicata armonia di Frore......

Giacomo Serreli
...

Nel respiro avvolgente di Sona sonette l'impulso ritmico delle percussioni, non schiaccia fisarmonica e chitarra che riconducono alla fonte della tradizione dalla quale si attinge a piene mani per dare vita al fluire di Frore. Ovunque è poi la meticolosità degli impasti vocali, la cristallina intonazione di Beppe Dettori a dare un senso ancora più marcato a questa forza comunicativa che trasuda dai brani; quasi volessero comunque superare la dimensione sarda, darsi un'anima universale alla quale non sono estranei umori africani, mediterranei. Dagli approcci più disinvolti e meno convenzionali di Ballade bois al grande ballo, tra terra e polvere, che si disegna in Eni ca ti canto; dal sofferto lirismo di Poesia traittora alla compiutezza di Ballu e cantu. Qui idealmente il cerchio si chiude: nell'esaltazione primigenia di voci antiche, in una struttura apparentemente disadorna che racchiude una grande ricchezza. La forza di essere musica che salta gli steccati punta dritta al cuore, oltre ogni confine.