Giu' il cappello  

testo e musica di Umberto Fiori e Pino Martini

Cagliari, ventisette di novembre
del millenovecentoventidue.
I fascisti che sfilano in parata:
A morte i traditori della Patria!
Onore ai gagliardetti, giù il cappello!
o assaggerete il santo manganello”.

Il cappello, nessuno se lo toglie.
La gente sta impassibile a guardare.
Partono gli squadristi a bastonare
chi non applaude, ai lati della via.
Brandiscono i coltelli e le pistole
sotto lo sguardo della polizia.

Ma ecco che i lupi imparano a sorpresa
quanto è dura la testa degli agnelli.
Senza pistole e senza manganelli
la gente si organizza alla difesa. §
Per strade e piazze, le camicie nere
fanno il pieno di calci nel sedere.

La Guardia Regia adesso si ridesta
e carica i passanti disarmati.
La colpa è tutta loro: se cavati
si fossero il cappello dalla testa
senza proteste, se avessero obbedito,
in due minuti tutto era finito.

Tra la folla c’è un uomo col berretto,
in braccio il suo bambino, pochi mesi;
sappiamo che si chiama Efisio Melis:
è un operaio, un reduce di guerra.
Un fascista gli dà una coltellata;
lui crolla, poi rimane lì per terra.

Nome e cognome dell’uomo che ammazza
un padre con il suo bambino in braccio
a noi non è arrivato. La memoria
si è sgravata di lui, della sua razza.
Pietà del lupo che non lascia traccia.
Pietà di noi, e della nostra storia.